Nel diritto civile italiano, il concetto di successione ereditaria si fonda su una struttura giuridica articolata, che mira a bilanciare la libertà testamentaria del defunto con la tutela di determinati soggetti ritenuti meritevoli di protezione. Il nostro ordinamento, infatti, individua una categoria di eredi che godono di una posizione privilegiata: i cosiddetti legittimari. Essi comprendono il coniuge, i figli (legittimi, naturali e adottivi) e, in mancanza di figli, gli ascendenti.
Ai legittimari è riservata per legge una quota di eredità definita “legittima” o “di riserva”, che non può essere loro sottratta nemmeno con atto di ultima volontà, salvo specifiche e tassative ipotesi previste dal legislatore. Tale principio è sancito dagli articoli 536 e seguenti del Codice Civile, che costituiscono l’ossatura della disciplina della successione necessaria.
L’art. 536 c.c., in particolare, stabilisce che “la legge riserva una quota di eredità, detta legittima, ai figli, agli ascendenti e al coniuge”, rendendo così evidente come la volontà del defunto non possa prevalere su tale previsione, salvo nei limiti consentiti dalla stessa legge.
Il nostro ordinamento riconosce al testatore la libertà di disporre dei propri beni per il tempo successivo alla morte, mediante testamento (art. 587 c.c.). Tuttavia, tale libertà trova un limite imprescindibile nella tutela della quota di legittima dei legittimari: nel caso in cui il testatore voglia destinare l’intero patrimonio a favore di soggetti diversi dai legittimari, il testamento sarà valido solo nei limiti della quota disponibile, ossia quella parte del patrimonio che può essere liberamente attribuita a chiunque, anche a soggetti estranei alla famiglia.
La quantificazione della quota disponibile varia a seconda della composizione del nucleo familiare. Se il defunto lascia un solo figlio, a quest’ultimo spetta almeno la metà del patrimonio; se i figli sono due o più, la legittima collettiva è dei due terzi, da dividersi tra loro in parti uguali (art. 537 c.c.). Il restante terzo rappresenta la quota disponibile, su cui il testatore può intervenire liberamente.
Pertanto, anche qualora un figlio non si sia mai occupato del genitore, non è possibile privarlo integralmente della propria quota ereditaria, salvo ricorrere a istituti previsti dal codice in casi estremi e ben determinati.
Una delle poche ipotesi in cui un figlio può essere escluso dall’eredità è rappresentata dalla dichiarazione di indegnità a succedere, prevista dagli articoli 463 e seguenti del Codice Civile. Tuttavia, è bene chiarire sin da subito che tale esclusione non è automatica e non può essere disposta direttamente dal testatore, ma necessita di una sentenza del giudice, su istanza di uno degli altri eredi o interessati.
Tra i casi di indegnità vi sono condotte gravemente lesive della persona o della volontà del de cuius, come ad esempio l’aver volontariamente ucciso o tentato di uccidere il testatore, l’aver commesso nei suoi confronti un reato punibile con pena non inferiore a tre anni, oppure l’aver indotto o impedito con dolo o violenza la redazione o la revoca del testamento.
Il mero disinteresse o l’assenza di rapporti affettivi non costituiscono mai, di per sé, causa di indegnità. La giurisprudenza è costante nel ritenere che l’indegnità non possa essere invocata per ragioni etiche o affettive, ma solo ed esclusivamente nei ristretti e tipizzati casi contemplati dalla legge.
Un tema che spesso genera confusione è quello della diseredazione. In Italia, il testatore può dichiarare espressamente nel testamento di voler escludere un figlio dalla propria successione, ma tale clausola non produce l’effetto desiderato se viola la quota di legittima. L’articolo 457 c.c. afferma che la successione si apre per legge o per testamento, ma la volontà testamentaria non può ledere i diritti dei legittimari.
Anche il tentativo di escludere il figlio senza nominarlo nel testamento non sortisce effetto: il legittimario avrà comunque diritto a rivendicare la propria quota tramite l’azione di riduzione, disciplinata dall’art. 553 c.c. e seguenti. Tale azione consente al legittimario leso di ottenere la reintegrazione della quota di riserva, anche contro la volontà del testatore.
La Corte di Cassazione ha più volte ribadito l’inderogabilità delle norme a tutela dei legittimari, confermando che la diseredazione espressa non può avere l’effetto di privare il legittimario della quota che la legge gli riserva, se non nei limiti della quota disponibile.
Un altro strumento che spesso viene evocato per cercare di “anticipare” la distribuzione dei beni secondo la volontà del disponente è la donazione in vita. Tuttavia, anche questa strategia incontra dei limiti stringenti.
Infatti, le donazioni effettuate in vita possono anch’esse essere sottoposte ad azione di riduzione da parte del legittimario leso, qualora abbiano inciso sulla quota di riserva. L’art. 555 c.c. stabilisce che l’azione di riduzione può colpire anche le disposizioni tra vivi (donazioni) quando le disposizioni testamentarie non bastano a reintegrare la quota di legittima.
La giurisprudenza ha spesso riaffermato questo principio, chiarendo che le donazioni lesive della legittima sono suscettibili di riduzione, indipendentemente dal tempo in cui furono poste in essere, salva la prescrizione decennale decorrente dall’apertura della successione.
Se dunque non è possibile estromettere un figlio dall’eredità, è comunque consentito, attraverso un’attenta pianificazione testamentaria, limitare la sua partecipazione all’eredità al minimo consentito dalla legge.
In presenza di più figli, ad esempio, il testatore potrà attribuire la sola quota di legittima al figlio con cui non ha più rapporti, destinando la quota disponibile agli altri figli o ad altri soggetti. Questo è pienamente legittimo e rappresenta l’unica modalità giuridicamente sostenibile per “ridurre” il peso successorio di un erede legittimario.
In questi casi è fondamentale redigere un testamento olografo, pubblico o segreto, che esprima in modo chiaro la volontà del testatore. L’assenza di testamento, infatti, apre alla successione legittima, disciplinata dagli articoli 565 e seguenti del Codice Civile, con conseguente ripartizione automatica del patrimonio tra tutti gli eredi legittimi, senza possibilità di escludere alcuno di essi.
In definitiva, non è possibile estromettere un figlio dall’eredità per sole ragioni affettive o morali, salvo i rarissimi casi di indegnità previsti e giudizialmente accertati. Tuttavia, con una pianificazione testamentaria accurata, è lecito ridurre la quota destinata a un erede legittimario entro i limiti di legge.
La complessità della materia successoria, unita all’elevata frequenza di contenziosi in ambito familiare, rende indispensabile il ricorso a una consulenza legale personalizzata, che sappia orientare il testatore tra le possibilità offerte dalla legge e i rischi di un impianto testamentario inadeguato. Nel rispetto delle norme vigenti e della volontà del disponente, un avvocato esperto in diritto delle successioni potrà elaborare una strategia conforme alla legge, garantendo una distribuzione del patrimonio che, pur non potendo escludere i legittimari, ne possa contenere l’incidenza nei limiti legali previsti.
Lo studio opera prevalentemente presso gli uffici giudiziari del distretto di Monza, Milano, Como e Lecco ma garantisce, la propria assistenza sull’intero territorio nazionale avvalendosi della collaborazione professionale di altri Studi di cui negli anni ne ha testato la fiducia.