Cosa succede all’eredità in caso di concorso tra fratelli e coniuge superstite in assenza di figli

La delicatezza dell’equilibrio successorio in assenza di figli

Nel panorama delle successioni legittime disciplinate dal Codice Civile italiano, vi sono situazioni che, più di altre, mettono alla prova l’equilibrio tra diritto e sentimento. Una di queste è senz’altro quella che si verifica quando, alla morte di un coniuge privo di figli e in assenza di testamento, si apre la successione in favore del coniuge superstite e dei fratelli del defunto. Tale fattispecie, tutt’altro che rara, si verifica sovente in nuclei familiari ristretti o in assenza di discendenza, dove la convivenza tra i coniugi ha portato ad accumulare nel tempo un patrimonio, anche modesto, ma sentito come il frutto condiviso di sacrifici comuni.
La presenza di fratelli tra i successori legittimi può dunque generare tensioni e situazioni di conflitto che il legislatore ha tentato di regolare, pur lasciando margini a scelte più consapevoli e protettive attraverso l’istituto del testamento. La disciplina normativa appare chiara, ma le implicazioni pratiche possono risultare amare per il coniuge superstite, spesso ignaro dei propri diritti e della possibilità di evitare scomode coabitazioni ereditarie semplicemente predisponendo un testamento.

Il quadro normativo: la successione legittima secondo il Codice Civile

La successione legittima è regolata dagli articoli 565 e seguenti del Codice Civile. L’articolo 565 c.c. stabilisce chi siano i successibili in mancanza di testamento, secondo un ordine preferenziale che privilegia il coniuge, i discendenti (figli e nipoti), gli ascendenti (genitori, nonni) e i collaterali (fratelli, sorelle).
Nel caso specifico in cui il de cuius non abbia lasciato figli né ascendenti, e sia sopravvissuto solo dal coniuge e da uno o più fratelli (o sorelle), la legge prevede una divisione del patrimonio secondo quanto stabilito dall’articolo 581 c.c., il quale recita: “Se con il coniuge concorrono ascendenti legittimi o fratelli e sorelle, al coniuge spettano due terzi dell’eredità.”
Dunque, in questa ipotesi, il coniuge superstite ha diritto ai due terzi del patrimonio ereditario, mentre il restante terzo va suddiviso tra i fratelli e/o sorelle del defunto. È importante precisare che, in assenza di testamento, questa ripartizione è inderogabile, salvo le ulteriori tutele previste per la casa coniugale e il diritto di abitazione, che saranno analizzate nel prosieguo.

La posizione del coniuge superstite e il diritto di abitazione ex art. 540 c.c.

Un elemento fondamentale della tutela del coniuge superstite si rinviene nell’articolo 540, secondo comma, del Codice Civile. Questa norma, generalmente riferita alla successione necessaria in presenza di testamento, ha tuttavia rilievo anche in sede di successione legittima: essa riconosce al coniuge il diritto di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e il diritto d’uso sui mobili che la arredano, qualora questi fossero di proprietà del defunto o comuni.
Il diritto di abitazione permane anche qualora l’immobile sia caduto in comunione ereditaria tra il coniuge e i fratelli del defunto: in tal caso, il coniuge può continuare a viverci, anche se la nuda proprietà dell’immobile è condivisa con altri soggetti.
Questa previsione rappresenta un presidio importante contro il rischio di spossessamento del coniuge superstite da parte degli altri coeredi, che potrebbero altrimenti tentare di forzare la vendita dell’immobile o di limitarne l’uso, in nome della comunione ereditaria.

Il principio della quota disponibile e l’irrilevanza dei fratelli come legittimari

Altro punto cardine nella comprensione della situazione giuridica è il fatto che i fratelli del defunto non siano considerati "legittimari". Ai sensi dell’articolo 536 c.c., infatti, la categoria dei legittimari è limitata ai discendenti, agli ascendenti e al coniuge. Questo significa che, in presenza di un testamento, il de cuius può liberamente disporre del proprio patrimonio escludendo totalmente i fratelli dalla successione, sempreché siano rispettate le quote di riserva spettanti agli altri legittimari, ove esistenti.
Nel caso che ci occupa, cioè in assenza di figli e ascendenti, l’unico legittimario sarà il coniuge superstite. La sua quota di riserva, ai sensi dell’articolo 540 c.c., è pari alla metà del patrimonio, più, come detto, il diritto di abitazione sulla casa familiare. La restante metà costituisce la cosiddetta quota disponibile, sulla quale il testatore ha piena libertà di disposizione.
Pertanto, è perfettamente lecito, per un coniuge senza figli e senza genitori in vita, redigere un testamento lasciando tutti i propri beni al coniuge superstite. I fratelli, in questo caso, non potranno eccepire alcuna violazione dei loro diritti, poiché non tutelati dalla riserva. Questa è una previsione di importanza cruciale, soprattutto nelle ipotesi di rapporti familiari conflittuali o distanti, come spesso accade nella realtà.

Le problematiche della comunione ereditaria tra coniuge e fratelli

Nel caso di successione legittima, il coniuge superstite e i fratelli del defunto diventano contitolari pro quota dell’eredità. Si instaura quindi una comunione ereditaria, regolata dagli articoli 1100 e ss. del Codice Civile. Questa comunione può riguardare beni mobili, conti correnti, immobili e qualsiasi altro cespite ricadente nella massa ereditaria.
Dal punto di vista pratico, tale situazione può rivelarsi fonte di numerose difficoltà. Pensiamo ad esempio a un conto corrente intestato esclusivamente al defunto: per sbloccarne i fondi sarà necessaria una dichiarazione di successione e il consenso di tutti gli eredi, compresi i fratelli. In assenza di accordo, possono insorgere blocchi nell’accesso a risorse economiche indispensabili per la sopravvivenza del coniuge superstite. Lo stesso dicasi per l’immobile familiare: anche se il coniuge ha diritto di abitarvi, la sua proprietà può risultare parzialmente condivisa con i fratelli del defunto, rendendo ogni operazione straordinaria (vendita, ristrutturazione, affitto) soggetta al consenso degli altri coeredi.
Tali inconvenienti possono portare a lunghi contenziosi, soprattutto se non vi è unità d’intenti tra i condividenti. Il coniuge superstite, già provato dal lutto, si trova quindi coinvolto in complesse dinamiche ereditarie che ne compromettono la serenità, e che sarebbero facilmente evitabili mediante una preventiva pianificazione testamentaria.

La centralità del testamento nei nuclei senza figli

Alla luce di quanto illustrato, emerge con chiarezza come la redazione di un testamento sia lo strumento più efficace per evitare che, alla morte di uno dei coniugi, si instauri una scomoda comunione ereditaria con fratelli o sorelle del defunto. Il testamento, infatti, consente al testatore di disporre dell’intero patrimonio, garantendo al coniuge superstite, se lo desidera, il godimento esclusivo di tutti i beni, nei limiti delle quote di legge.
L’atto testamentario può assumere diverse forme, tra cui il testamento olografo (redatto, datato e firmato di pugno dal testatore), quello pubblico (ricevuto da un notaio alla presenza di testimoni) o quello segreto (redatto dal testatore e consegnato ad un notaio in busta chiusa). Tutti e tre hanno piena validità legale, purché rispettino le forme prescritte e le quote riservate ai legittimari. In mancanza di figli, e con genitori deceduti, il coniuge può essere destinatario dell’intero asse ereditario, con l’effetto di escludere del tutto i fratelli. Questo consente di preservare l’unitarietà del patrimonio familiare e di evitare contenziosi che, oltre a essere economicamente onerosi, spesso logorano irreparabilmente i rapporti personali.

Il concorso tra coniuge superstite e fratelli del defunto rappresenta una delle situazioni più critiche della successione legittima, soprattutto sotto il profilo umano e relazionale. Sebbene il legislatore abbia previsto una certa tutela per il coniuge, il permanere della comunione ereditaria e della comproprietà può generare problematiche significative.
Resta dunque unica soluzione quella di redigere un testamento, scelta che consente di rispettare le volontà del de cuius e, soprattutto, di tutelare il coniuge rimasto in vita, evitando l’ingresso nella sfera patrimoniale familiare di soggetti estranei o distanti.

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